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Cercasi casa disperatamente


Cerco casa da tempo e non la trovo. In questa città (per chi non avesse capito: Roma) le case belle si trovano nei posti brutti e nei posti belli invece sono quelle brutte. Ovvero non ho ancora trovato una situazione che soddisfi la difficile formula: qualità casa, quartiere, prezzo. Ne ho viste talmente tante che ormai conosco le zone in funzione degli annunci e mi muovo nelle strade indicando gli appartamenti che ho visionato. Conosco talmente tanti portali web e tante agenzie che mi è capitato di incontrare gli stessi immobiliaristi in tempi e zone differenti, e di andare a vedere la stessa casa con agenzie diverse.

Insomma sono diventata un’autorità nel settore. Ecco perché un mio amico che, come me, cerca casa disperatamente, mi ha chiesto un giorno di accompagnarlo a vedere un appartamento in vendita. Solo che esiste una differenza tra me e lui: lui è ricco, quindi la casa che cerca ha delle caratteristiche che io vedo solo sulle riviste, ovvero deve essere bellissima.

Il giorno dell’appuntamento arrivo precisa al secondo con le mie scarpette rosse e vedo che mi ha dato un civico dove c’è un negozio, intanto adocchio in lontananza due stangone di cui una provvista di agenda. Solo le agenti immobiliari donne sono provviste di agenda gonfia di foglietti e penne. Capisco che è il numero successivo, corrispondente ad un portone, ma per prendere tempo gioco con il cellulare come insegna Diego De Silva (cfr. scrittore che ammiro).

Intanto si avvicina alle due signore una tipa con scritto in fronte “sono ricca di famiglia” e urla, perché la sento da 10 metri, dicevo, urla: “Aspettate  M…. C…… ? Sono un’amica che lo accompagna a vedere la casa.”

Credo di aver battuto le ciglia come uno degli alieni di Men in Black e ho focalizzato megliola tipa. Alta un metro e cinquanta, capelli lunghi, biondi e lisci, secca, non asciutta, abbronzatissima nel suo pantalone bianco, la borsa YSL e l’occhiale da sole che sembra strano… lo focalizzerò bene quando mi presento, perché a questo punto il gusto di vedere come va a finire questa vicenda me lo devo levare. Visti  da vicino, gli occhiali sono in pratica “mochettati” con una specie di tessutino viola come quello che si trova nelle custodie degli strumenti musicali, non è velluto, non è tessuto, è pelosetto e non so come si chiama. Questo è blu. Hanno la forma dei miei ray-ban, ma sono stati mochettati.

Lei spiega che sono di L…. Io non mi spiego perché sono là.

Intanto si parla ancora cinque minuti per scoprire che il M… arriverà tra almeno altri 15 ed è in un tax,i ed io prendo atto che la sua amica, Elena? Eleonora? Emiliana?, ho capito solo che inizia per “E”, ha la faccia da topo e la testa tutt’osso.

Lei spiega al gruppo di donne in attesa del giovane miliardario che è un anno e mezzo che gli sta cercando casa, ma che lui è esigente, vuole una cosa che non esiste, vuole una TERRAZZA a Roma che gli faccia vedere i Fori Romani…ed indica i tetti sopra le nostre teste come fossero qualche cosa di irraggiungibile.

Io seguo quel gesto, rivedo gli occhiali che ora ha in mano e penso ancora: “Ma perché sono qui?”

Arriva M…, splendido nel suo taxi 3570, con il suo trolley YSL taglia media, una cartella con il logo dell’azienda che lo rende miliardario infilata nella tasca davanti della borsa.

Saluti, presentazioni e la piccola carovana inizia la visita dell’attico.

Attraversiamo due cancelli elettrici con movimento automatico ed entriamo in un androne ristrutturato con gusto che tutti apprezziamo diffusamente .

Essendo tanti, l’agente n.2 suggerisce di dividersi per prendere l’ascensore e scopro che sono circondata da atleti claustrofobici che si fanno tutti splendidamente 5 piani a piedi. Io non ci penso proprio, salgo in ascensore con l’agente n.1 e la valigia del M…., che poi tanto splendido non era visto che alla fine non se la sente di accollarsela per le scale, e scopro che la borsa pesa sopra i10 kg canonici per il bagaglio a mano di WizzAir.

Mentre saliamo nel miniascensore, l’agente immobiliare mi dice con un tono da mamma borghese: “Ma è piccolo!!!” Avrei voluto rispondere che non avevo avuto il piacere di verificare ma sono sempre una signorina educata e quindi mi limito a confermare che aveva 27 anni. “Gli anni di mio figliooo“, aggiungo le “o” perché credo che ne abbia prodotte almeno 6, quindi mi sembra il caso di sottolinearla come cosa notevole.

Avrei potuto fare commenti su come si portava bene gli anni, ma grazie a Dio arriviamo al piano.

Qui troviamo una casa con la cucina all’ingresso. Si, una casa che sovvertiva l’ordine naturale delle cose per mostrare a tutti che i proprietari, secondo l’agente n.2 “Anziani, sa hanno voluto costruirsela secondo le loro esigenze“, in realtà se ne fregavano delle convenzioni e l’hanno fatta come gli pareva.

Ma la cucina non interessa a M…., né gli armadi a muro fatti su misura disboscando una parte dell’Amazzonia: dove mi giravo giravo vedevo armadi e nicchie con mensole. Lui vuole vedere la TERRAZZA.

Così veniamo accompagnati sulla TERRAZZA e a me scappa un sospiro di sollievo.

La TERRAZZA infatti è un buchetto fiorito tra i tetti di Roma. Un luogo intimo per leggere un libro, prendere un po’ di sole, fare la colazione nelle belle giornate, non un posto dove fare un festone con dj-set e fontane di bollicine per 100 persone oppure portare al tramonto la modella di turno, abbracciarla e con un gesto ampio della mano dire “Questa è ROMA” per poi girarla con un movimento fluido della spalla e baciarla.

E quindi il commento del M… è stato: “Bella … quella terrazza là” indicando la terrazza più in alto e di fronte.

Ma torniamo al mio sospiro di sollievo, questo nasce per l’innata antipatia che avevo per Elena? Eleonora? Emiliana?, perché mi ricorda quelle mie compagne di scuola ricche e brutte che avevano tutto quello che volevano, incluso essere intelligenti, ma erano innamorate del loro amico bello e ricco, che le frequenta appunto perché ricche come lui e che, se fossero state povere come me, col cavolo che le avrebbe mai viste.

Non mi andava che gli trovasse casa per poi vantarsi perché, poverina, solo di quello si sarebbe potuta vantare, che era lei che aveva risolto il problema al M…. Quindi appena messo piede su quel piccolo angolo di Paradiso ho saputo che non gli sarebbe piaciuto ed ho saputo che non avrei dovuto fare niente né dire niente, per vedere la ragazzina tornarsene con le pive nel sacco pure quella volta.

Tralascio il resto del giro, le patetiche proposte delle due agenti immobiliari tipo “abbattere tutto, mura portanti incluse, e fare un grande salone” oppure l’esilarante “magari col tempo si libera l’appartamento di sopra, quello si che ha la terrazza che le piace“, ed arrivo alla fine di questa storia sperando che tu, lettore, ce l’abbia fatta ad arrivare fino a qui.

Dopo un secondo “Quella si che è una BELLA TERRAZZA” riferito ad un altro appartamento che si vedeva da una finestra della casa, M… spiega le sue modestissime esigenze, con un sospiro pure lui perché ormai dovremmo averlo capito e invece deve farlo ancora una volta. Infondo lui vuole “solo” un salone di 100 mq, una terrazza con vista su Roma da almeno 90, una camera con il bagno, poi i servizi, quindi vorrebbe partire da un minimo di 200 mq con vista, non sembra una richiesta così eccessiva no? “Nooo!!!” Facciamo tutte in coro. Anche la signora che vende la casa in questione, tutta compita nella sua tenuta da architetto zen completamente bianca, capelli inclusi, assente con il capo e le mani giunte sulla pancia.

I saluti sono brevi e indolori, i commenti inutili da riportare, M… riprende il suo trolley e sale su un Mercedes nero con l’autista che lo è venuto a prendere per portarlo all’aereo che in business class lo scaricherà nella Milano della Settima della Moda.

Elena? Eleonora? Emiliana?, mi riattacca un pilotto sulla difficoltà di soddisfare le esigenze del M… finché non riesco a scaricarla vicino ad una fila di motorini che ospita anche il suo, che non ho individuato, ma sarà sicuramente nero con qualche adesivo,  e me ne vado verso un altro appuntamento.

Dovendo trarre una lezione da questo episodio della mia vita posso dire che l’ho ritenuto veramente concluso quando sono passata al postamat e mi è stata “trattenuta la scheda”, ovvero era scaduta, non avevo capito che me l’avevano annullata, e la macchina malefica me l’ha magnata!

Ero talmente sfiancata dall’inutilità di quel pomeriggio che non mi sono incazzata, non mi sono spaventata, non mi sono arrovellata per risolverla. Ho rimesso il portafogli in borsa, pregato San Giuda che l’altra carta che avevo a casa funzionasse, e me ne sono andata per la mia strada, con le mie scarpette rosse, come ero partita.

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