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Il Natale è la festa della tradizione


Il Natale è la festa della tradizione, ovvero è festa perché si fa una serie sempre uguale di cose ogni anno. E c’è un motivo se si fanno solo una volta l’anno, ci avete mai pensato? Forse è perché una volta basta e avanza… Tanto è vero che per molti è emotivamente devastante, principalmente per il contatto diretto che si deve avere con i parenti oltre che per il tema dell’allegria a tutti i costi. Io ho un rapporto interlocutorio con il Natale, ritengo che sia un momento imprescindibile dell’anno, che quindi non si possa ignorare, per usare una metafora, se sei nel tunnel e non riesci ad uscirne tanto vale arredarlo.

Casa mia non sfugge alle tradizioni, ovvero a quelle cose che si fanno una volta l’anno, tralascio preparazione di: albero, decorazioni, regali, invece qui mi concentrerò sulla parte veramente intensa della festa: la preparazione della cena della Vigilia.

Si inizia la mattina (sperando di aver fatto tutta la spesa prima, altrimenti bisogna correre di qua e di là per comprare ingredienti fondamentali e di difficile reperimento) con la realizzazione del progetto “paste fritte”. Le paste fritte sono appunto composte da pasta lievitata farcita con alici o sedano o bianchini. I bianchini (cfr. pesci neonati e bianchi con piccoli occhietti neri che ti fissano e ti ricordano che sei un mostro perché li mangi e loro erano solo dei cuccioli di pesce), che sono quelli che mi piacciono di più, non me li fanno mai (cfr. forse sempre il tema dei sensi di colpa dati dagli occhietti). Le paste fritte sono l’unica cosa che si mangia a pranzo, perché bisogna stare “leggeri” per la cena. Così si mangiano con le mani, avvolte in tovaglioli e morse senza pietà, possibilmente appena poggiate nel vassoio ancora grondanti di olio bollente, in modo da procurarsi una scottatura da ricovero in ospedale che può far cadere la lingua e compromettere la degustazione della cena. Mangiarle calde è fondamentale perché sono il tipico piatto che una volta raffreddato diventa noce massello, tanto da poter essere utilizzate a volte anche come finte rocce per il presepe. Alla decima ci si accorge che forse si sta esagerando e si cerca di digerire con una Coca-Cola, ma ormai i lieviti stanno prendendo vita nello stomaco e ci vorranno buone 10 ore per riuscire a smaltirle. Giusto giusto per l’ora di cena.

Dopo la frittura delle paste fritte, c’è quella delle zeppole. Le zeppole sono un dolce sopraffino, anch’esso fatto solo a Natale, ovvero delle ciambelline il cui impasto base ha patate, zucchero, farina, uovo e lievito. Credo ci sia qualche ingrediente segreto, ma appunto perché segreto non viene mai rivelato se non verbalmente da madre a figlia dopo il quarantesimo anno di età. E grazie al cielo ho ancora tempo per saperlo. Anche queste, come anticipato, sono fritte e poi vengono passate nello zucchero una per una dalla sottoscritta. In entrambe le operazioni di frittura io sono l’addetta al “giraggio”, ovvero mia madre prepara e immerge nell’olio, io giro per garantire una cottura perfetta. Le migliori litigate della nostra vita ce le siamo fatte sul grado di cottura e sulla mia presunta lentezza nel girare, soprattutto riguardo alle zeppole.

Dopo aver mangiato anche le zeppole, che sarebbero per la sera, ma visto che sono anche loro più buone calde e sono pronte verso le tre diventano anche una merenda, uno spuntino, un antipasto, si fa una pausa fino alle sei.

Alle sei si ricomincia a cucinare, perché noi mangiamo presto, c’è poco da fare, i regali (obiettivo principe della serata) si aprono dopo la cena e quindi è inutile mangiare dopo le otto, otto e mezza.

Si procede così alla cottura del broccolo siciliano, che sarà condito con olio e limone, poi alla preparazione dei finocchi in gratin, che vanno prima bolliti, poi ricoperti della magica besciamella di mia madre e messi in forno.

Seguono i gamberi, che sono anch’essi bolliti e poi composti su un letto di insalata tagliata sottile e coperti di maionese. Pure qui io e mia madre abbiamo due scuole di pensiero: lei vuole mischiare gamberi e maionese, io ce la metto sopra. Confronti verbali da ricordare pure quelli.

Poco prima di andare a tavola è la volta  dei calamari fritti, il cui corpo è tagliato ad anelli mentre i raggi a pezzi (cfr. i tentacoli, ma mia madre li chiama così, non ho mai indagato sulla terminologia corretta, comunque  mi fanno senso perché hanno le ventose), immerso nella farina e semplicemente passato nell’olio caldo.

L’antipasto è la cosa più rapida, facciamo il salmone affumicato con il pane tostato e il burro, quindi si prepara decisamente per ultimo.

Invece le cose peggiori sono due: il capitone e la coratella. Il capitone è fritto pure lui e a me fa un senso eccessivo, soprattutto quando lo vedo là, tagliato a pezzi, messo nell’aceto a marinare. Mentre la coratella, per chi non lo sapesse, sono le interiora del capretto che ci mangeremo al forno il giorno dopo, al pranzo di Natale. Cotte con l’alloro, ma comunque insopportabili, soprattutto l’odore. La coratella mi ricorda il  mio problema con le interiora di animali: ritengo di non dover avere coscienza che le sto mangiando. Se per caso mi capita di trovarle dentro qualche piatto come il crostino toscano, di cui vado matta, mi illudo che non ci siano i fegatini di pollo, penso che sia una salsa misteriosa che comprende carne macinata.

E a fine pranzo si fa il mascarpone espresso, un trionfo di uova montate, zucchero, formaggio mascarpone, scaglie di cioccolato fondente, e un cucchiaio di brandy. Questa crema divina viene mangiata o da sola o con un fondo di panettone. Ma noi siamo dei ghiottoni, quindi girano coppe colme fino all’orlo di solo mascarpone.

Tirando le somme, io durante la serata mangio nell’ordine: il salmone, i gamberi, qualche anello di calamaro, niente raggi, un pezzetto di finocchi, possibilmente dove c’è più besciamella, e due coppe di mascarpone, anche perché le zeppole le ho mangiate a partire dalle tre con scadenza regolare di una all’ora. Lascio agli altri capitone e coratella, che ricopro di commenti aborrendoli anche durante il pranzo e il broccolo, che non mi dice niente durante l’anno figurarsi a Natale.

E mentre sto sprofondata sul divano troppo basso, tanto che mi sento il bottone dei pantaloni che preme sulla pancia stranamente gonfia, circondata dalle carte dei regali scartati che di solito raccolgo solo io, mentre gli altri prendono il malloppo e scappano lasciando il casino, mi abbandono ad un pensiero rassicurante: “Pure quest’anno ce l’abbiamo fatta ad arredare il tunnel, speriamo per l’anno prossimo di trovare anche una bella libreria curva per la parete libera…”

Buon Natale!

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