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Piccola storia triste: ho finito il fondotinta


Ho finito il fondotinta. O meglio, ho finito il fondotinta, la crema B&B, la cipria, il correttore, il prime. Insomma ho finito tutto. Naturalmente non tutto insieme, ma lentamente: quando ho finito il fondotinta sono passata alla crema B&B, una volta spremuta l’ultima goccia dal tubo ho iniziato a spolverarmi con la cipria, infine sono arrivata a usare solo il correttore nei momenti veramente critici.

Insomma, la triste storia di una poraccia che qui fa outing. Come il ludopatico che non ammette di prosciugare tutte le sue energie finché non si rovina, allo stesso modo io ho lasciato andare la mia pelle alle intemperie e agli inestetismi perché non volevo ammettere di avere un problema, che in questo caso era: non sapevo che prodotto comprare.

I progressi dell’estetica sono talmente ampi, il mercato così pieno di prodotti, e la mia sciatteria a tal punto imponente, che di fronte alla scelta su quale fondotinta investire le mie speranze e le mie aspettative ho iniziato ad avere delle reazioni psicotiche. L’ansia di sbagliare prodotto ha preso il sopravvento spingendomi a perdere qualsiasi contatto con la realtà.

E solo uno shock poteva salvarmi da questa condizione miserabile, lo shock di scoprire che il prodotto perfetto, almeno sulla carta, esisteva.

Ho infatti scoperto che una nota casa cosmetica, in un noto negozio romano, mette a disposizione delle clienti la possibilità di comprare il fondotinta su misura. Avete capito bene, il fondotinta definitivo, quello che corrisponde al tuo incarnato, e solo al tuo.

E’ stato come se qualcuno avesse finalmente preso in mano il martellino d’emergenza che si vede sulle carrozze del treno e spaccato il vetro fermando quella corsa emotiva che non mi stava portando da nessuna parte.

Mi sono svegliata dal mio torpore e mi sono diretta senza indugi verso questo nuovo Shangri la, luogo mitologico che mi prometteva l’eterna giovinezza, o almeno una pelle omogenea.

Così arrivo armata delle più gioiose intenzioni, senza un filo di trucco, pronta a farmi misurare e analizzare per definire quale sarà la mia copertura ideale, o meglio, la copertura che viene fatta solo per me.

Vengo così posizionata su una sedia in bella vista per il pubblico, liberata degli orpelli, cappotto, sciarpa, occhiali, e come prima cosa abbondantemente emulsionata con del tonico, giusto così, per “rinfrescare”. Anche se io mi sono sentita come quando sgrassi lo schermo del cellulare per mettere la pellicola protettiva trasparente.

A quel punto il commesso apre con fare cerimonioso un fazzoletto di carta e lo posiziona sul piano a specchio davanti a me. Con questo gesto magico si materializzano creme su creme, che dovrebbero “preparare”, “ringiovanire”, “tonificare”, “idratatare” “proteggere”, “defatigare”, “sgonfiare” una pelle che sembra non vedere un trattamento da prima dell’invenzione del burro di cacao da applicare sulle labbra.

Nella prima mezz’ora mi vengono quindi applicati quattro prodotti differenti, ognuno con un compito che non risultava mai del tutto chiaro, tranne la generica valenza migliorativa, ma del mio fondotinta ancora non si vede traccia.

Ed anche se a ogni nuova emulsione, che arriva prima sul tavolo davanti a me e poi sulla faccia, io ripeto come un nastro rotto che non ho la pazienza e la voglia di usare niente che non sia strettamente necessario, l’integerrimo commesso truccatore va avanti nella sua strada cercando di convertirmi come un testimone di Geova davanti a un citofono.

Eppure il solerte, e bravissimo, commesso, continua a massaggiarmi la faccia, e a propormi di mettere la mattina due prodotti per gli occhi e due per il viso, e a ripetere il rituale la sera. E man mano che procede sottopone all’attenzione dello specchio le mie occhiaie, mai come allora profonde e sconfortate.

Eppure anche questo stillicidio ha avuto fine, e finalmente, quando il vassoietto davanti a me è così ingombro da non poter contenere niente altro, appaiono davanti a me un attrezzino dall’aria tecnologica e un simpatico schermo che daranno il via alla mia misurazione!

La mia pelle viene saggiata in tre punti, poi mi viene chiesto come vorrei la texure della crema, ma non faccio in tempo a rispondere che lui decide per me: leggera.

Poi da commesso diventa alchimista, tira fuori delle ampolline, le posiziona sotto questa strana macchina e magicamente, dopo aver digitato codici misteriosi, vedo delle creme riempire un barattolino trasparente attraverso un erogatore automatico che mi ricorda, in piccolo, quello del Milkshake di Macdonald’s.

La cosa divertente è poi la miscelazione dei prodotti nel contenitore, posizionato in un comparto segreto che si è schiuso davanti a me e poi scosso come le provette nei laboratori dei film di fantascienza. Solo che al posto dell’antidoto al virus misterioso che sta trasformando il mondo in un’apocalisse zombie da quell’apertura è uscito un fondotinta da 90 euro.

Il resto della procedura comprende la stampa di un’etichetta con il mio nome e il posizionamento della preziosissima ampolla in un cofanetto con l’interno di velluto destinato a ricordarmi, dolorosamente quanto è costato.

Ma il commesso torturatore non è affatto intenzionato a lasciarmi andare, una volta finito il procedimento deve per forza farmi vedere come si applica, rifilandomi anche un bellissimo pennello da trucco in peli di qualche animale preziosissimo, mentre aggiunge della cipria, del fard, un rossetto, in pratica mi trucca e aggiunge intorno a me altri cinque prodotti che sembrava indispensabili al mio benessere.

Ma io sono ancora una volta più forte, mentre guardo con terrore quanto fondotinta personalizzato sta sprecando sulla mia faccia, visto quello che costa, resisto ad ogni proposta, anche a quella di tornare il giorno dopo per approfittare di una serie di sconti che però non comprendono  prodotti che ha usato. E per rafforzarmi nel mio proposito gli ho chiedo quanto sarebbero costate alcune delle creme che mi vuole far comprare a tutti i costi.

Con una freddezza veramente ammirevole mi ha prospettato un leggero conto di 440 euro, escluso il fondotinta e il pennello che avevo provato. Istintivamente ho portato una mano al volto in un gesto di orrore e insieme di protezione, mentre mi rendevo conto di avere talmente tanta roba in faccia da non avere più la sensibilità sul viso. Ma il gesto è stato interpretato come un apprezzamento del confort che i prodotti danno alla pelle, o almeno entrambi, per buon gusto, abbiamo voluto immaginare che fosse così.

E forse grazie a questo gesto di distacco, come una novella Ulisse che scappa dalle braccia di Circe per riprendere il mare e cercare di tornare a casa, anche io mi sono aggrappata alla bustina contenente il prezioso fondotinta e mi sono allontanata salutando con la mano, conscia che un nuovo trauma ora faceva parte della mia storia cosmetica e che per ammortizzarlo avrei dovuto far durare quel fondotinta almeno sei mesi.

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