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Questioni domestiche: la lavatrice


La gestione della lavatrice e la conseguente stesa dei panni rappresenta uno dei momenti più discussi delle attività domestiche.

Ci sono, infatti, persone a cui piace fare le lavatrici e altre a cui piace stenderle. Questi anarchici ritengono che ci sia un gusto particolare nel gestire in autonomia la propria biancheria, senza dover rendere conto a nessuno della quantità di ammorbidente o della disposizione degli indumenti sullo stendino.

Ammetto di invidiarli, perché invece io detesto prendermi la responsabilità dei miei lavaggi. E parlo di responsabilità nel vero senso della parola: vi siete mai soffermati a pensare alle implicazioni di un programma sbagliato? Di una centrifuga di troppo? Di un calzino rosso, magari al primo lavaggio, in un bucato di bianchi? La tragedia è sempre dietro l’angolo quando si parla di lavatrici, anche se facciamo finta di non saperlo.

Tutto parte dalla selezione, ovvero dal dividere quel mucchio minaccioso che si trova nel cestone. I veri professionisti lo fanno a monte separando in cestoni diversi neri e colorati, bianchi e lavaggi a mano. Appunto perché professionisti, infatti, prevedono anche il lavaggio a mano per i capi più delicati, il cachemire lo stendono su un asciugamano non appeso ma in orizzontale e magari hanno delle bacinelle dedicate.

Per chi, come me, apprezza la semplificazione, il momento di fare la lavatrice è quando i panni iniziano a strabordare tanto da non far chiudere più il coperchio, e esistono solo due modi di vedere le cose: scuri, inclusi i colorati, e bianchi. Questa divisione in macroaree è messa in crisi dalla recente moda delle righe e dei pois, che mi ha portato a fare incauti acquisti di magliettine che richiedono un approccio specifico.

Parafrasando la famosa frase attribuita ad Arnaud Amaury, che interrogato da un soldato su come poter distinguere gli eretici dagli altri, sembra dovesse rispondere “uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”, anche io penso “Lavatevi tutti, il Detersivo riconoscerà i suoi”. Mentre fisso la maglietta tutta spiegazzata e puzzolente e poi alternativamente i due mucchi che ho fatto, affido la decisione al migliore dei giudici: il Destino. Quindi chiudo gli occhi, muovo un po’ il braccio e all’improvviso faccio cadere il capo: sarà lavato nel mucchio dove atterra.

Come ho accennato prima, le scelte sul tipo di lavaggio condizioneranno il risultato finale, quindi non nascondo di avere sempre una certa apprensione (data dalla mia innegabile cattiva coscienza) nel momento in cui chiudo lo sportello e inserisco il programma che, per inciso, è quasi sempre lo stesso.

Le brave persone infatti ragionano anche sul programma e sulle diverse opzioni che l’elettrodomestico mette a disposizione: lana, delicati, sportivi, per citarne alcuni. Anche qui io applico il mio metodo basato sulla rapidità del lavaggio e sull’acqua fredda, tanto i miei vestiti non sono mai troppo sporchi, o almeno così penso io, e poi ci sarà l’aggiunta della candeggina delicata a disinfettare tutto. Unica nota sulla candeggina, visto che non so mai in quale cassetto andrebbe versata, nel dubbio la metto in tutti e due, così nel lavaggio deve finirci per forza.

Ammetto però di avere un’eccezione invernale: la lana. Le persone per bene portano i maglioni in lavanderia, ma da quando ho attuato questa politica economica che fa costare i miei maglioni meno di un lavaggio a secco ho deciso di applicare la linea del sacrificio necessario: li lavo a freddo senza centrifuga e li lascio a scolare per bene nella vasca da bagno sperando che vada tutto a buon fine. Ci mettono quattro giorni ad asciugare, ma tranne qualche occasione in cui ho ottenuto dei maglioncini per chihuahua oppure pezze di feltro per fare borsellini il rapporto risparmio/qualità è ancora vantaggioso.

Una volta che ho tirato fuori i panni e ho ispezionato, di solito, con un sospiro di sollievo, il risultato della lavatrice, mi tocca appenderli per farli asciugare.

Anche qui esistono persone precise, che dividono lo stendibiancheria (loro lo chiamano stendibiancheria, io stendino) in zone chiaramente identificabili per gradazione di colore e/o tipologia, e stendono i capi alla rovescia per preservarne i colori, oppure li appendono seguendo regole che ne conservano la forma e migliorano la stiratura.

Bravi loro. Io seguo solo due regole: deve entrare tutto in un unico stendino e devo sbrigarmi che mi scoccio.

Esteticamente quindi le mie composizioni lasciano molto a desiderare, soprattutto quando appendo le mutande ancora tutte arrotolate, o non tiro i calzini per allungarli, quindi più che panni lavati i miei sembrano il cestone dei panni sporchi che è stato lasciato sotto la pioggia.

Ma alla fine anche i panni che lavo io si asciugano, e profumano come gli altri, visto che ci metto il Coccolino concentrato nella dose del Coccolino normale, e quando sono ripiegati e infilati nell’armadio sono uguali a quelli di tutti gli altri, certo più spiegazzati perché stiro solo le cose che mi metto, visto che tanto poi nell’armadio si piegano e tocca ristirarle una seconda volta, ma dello stiro ne parliamo un altro giorno.


P.S. come immagine ho usato “La Venere degli Stracci di Michelangelo Pistoletto”, la trovavo quanto mai appropriata.

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