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Un tranquillo weekend di disperazione – Cronache di un Festival Letterario


Il destino di solito è baro e bugiardo, ma anche molto ironico.

Sarà per questo che, appena pubblicato il mio pezzo sull’infelicità mi fa imbattere nell’annuncio del festival che fa per me: il Festival della Disperazione.

Se sulle prime poteva sembrare uno scherzo, scopro che è un bel festival letterario, alla sua prima edizione, che si svolge ad Andria dal 5 al 7 maggio, con un programma di incontri interessanti che comprende, tra gli altri, Matteo Caccia (chi non sente Pascal su Radio2 ?), Francesco Piccolo (sceneggiatore di film fantastici), Andrea Moro (il relatore che tutti dovremmo avere non solo in un festival, ma anche per fargli domande alle diverse ore del giorno sul senso della vita o su cosa magiare a pranzo) e culmina con Carlo Lucarelli la sera di domenica.

Ci ho pensato tipo 5 secondi, poi ho deciso che era ora di ritornare a frequentare i festival letterari, anche perché io nasco come ideatrice del Festival del Giallo Comico, nella ridente località di Bassiano, e in questo periodo sono molto tentata dal desiderio di riprendere la mia carriera interrotta.

Complice anche l’equivoco, per cui il mio compagno legge sulla cartina presente nel sito dell’evento “Piazza Duomo” e pensa che si tenga a Milano, organizziamo questo weekend fuori porta che implica più di 700 Km tra andata e ritorno, con partenza venerdì sera e rientro domenica, magari dopo Lucarelli.

Parto trafelatissima venerdì pomeriggio e arrivo quando si sta chiudendo la porta per l’inizio dell’intervento di Moro, quindi sono già nello spirito della manifestazione: disperata.

Eppure ho fatto veramente molta fatica a rimanere concentrata sul tema a causa dell’ambiente piacevole, dei relatori uno più bravo dell’altro e delle attività collaterali al festival, perfette per vivacizzare e nello stesso tempo mantenere il ritmo del programma.

In poche parole, non sono riuscita a disperarmi neanche un po’, tranne quando abbiamo sbagliato ristorante sabato a pranzo a Trani e ci siamo trovati in un posto che sembrava il set del programma di Cannavacciuolo, ma questa è un’altra storia.

In una cittadina della Murgia, a venti minuti dal mare, ho ritrovato l’energia del pensiero, che permette di affrontare senza paura e con ironia la “disperazione”, intesa nelle sue accezioni più varie ma sempre come componente essenziale dell’animo umano, e ho incontrato persone che hanno condiviso con il pubblico la loro forza emotiva ma soprattutto culturale, così da dimostrare come anche il “lamento”, a volte, possa diventare non solo liberatorio, ma soprattutto produttivo.

E domenica sera, nonostante non abbia trovato da nessuna parte la “Manteca”* perché per loro “è troppo grassa” e il viaggio di ritorno con pioggia, nebbia e segnalazioni di cinghiali bradi sulle carreggiate (ci mancavano solo gli indiani d’America che ci colpivano con le frecce), sono tornata a casa felice, perché tutte le esperienze che ho fatto mi hanno confermato che la speranza e la disperazione si incorrono sempre come un “uroboro”**, in un moto infinito in cui la fine della prima sarà in ogni occasione l’inizio della seconda e viceversa.

*crf. La Manteca è “un formaggio tipico pugliese e lucano caratterizzato da un corpo esterno di pasta filata e un cuore interno di finissimo e morbidissimo burro”, non capisco proprio perchè lo definiscano “grasso”…

**cfr. L’ uroboro è un simbolo antichissimo composto da un drago o serpente che si morde la coda formando un cerchio senza inizio né fine, ad indicare l’infinito, fa più figo che dire semplicemente “serpente che si morde la coda”.

N.B. Per saperne di più sul festival: www.festivaldelladisperazione.it.

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